Aleksandar Garbin

“Disfunzioni ed Estensioni"

Museo della Città di Rovinj - Rovigno, Trg m. Tita 11 (Grande Galleria, I piano)
martedì 5 giugno 2018 - venerdì 6 luglio 2018


Nel creare la propria arte Garbin usa tecniche contemporanee e tutte le espressioni tipiche della pittura e della scultura. I suoi processi neoconcettuali e postmodernistici si fondano su un'espressione artistica sottoposta ad un enorme riduzionismo. Usa tecniche espressive semplicissime, tipiche del Dadaismo, del Surrealismo, dell'Arte povera e di tutte le loro derivazioni presenti nel mondo artistico più recente. Trattasi, di regola, di materiali semplici, la cui durezza e banalità vengono trasformate impercettibilmente dall'artista in oggetti particolari, quasi esoterici. Pur prevalendo nelle sue opere la scultura fondata sulla cosiddetta tecnica del "ready made", ovvero di oggetti reali che ne vengono a sottolineare il carattere funzionale o disfunzionale, quest'ultimo viene ribadito pure mediante altre espressioni come il video. Con le proprie opere Garbin esprime, estrae, trasforma per renderle visibili mediante un proprio procedimento artistico le forze sovrapposte, invisibili degli oggetti materiali. Da un lato è un atto, un'azione che decide di spostare o di girare l'oggetto, dall'altro è una modificazione fisica dell'oggetto, caricaturandone la forma originaria. Gli aspetti e le caratteristiche del mondo materiale, profondamente sotterrate nel mondo invisibile delle forze segrete alle quali può arrivare solo un processo mentale, vengono trasformati in visibili. È possibile immaginare l'invisibile e, con l'azione artistica esprimere e mostrare il frutto della fantasia, ma solo a patto che esista un particolare umore dell'animo. D'altro canto però anche l'umore dell'animo appartiene al mondo invisibile delle forze segrete che fanno del suo identificatore un profeta. Con semplicità, con azioni funzionali e disfunzionali, con estensioni agli oggetti, Garbin accentua il paradosso dell'immaterialità. Un paradosso di procedure pensate a fondo, che rendono uguali gli oggetti materiali del nostro mondo e le sconosciute esperienze dei sensi. Con le opere esposte l'artista descrive quanto osservato attraverso i suoi processi psichici – un'introspezione che si trasforma in magica abilità di trasformare il mondo materiale in una realtà precedentemente immaginata.

Il primo periodo artistico di Aleksandar Garbin è contrassegnato dal paradigma dell'iconografia cartografica: si tratta di un'interpretazione completamente sbagliata della sua attività artistica, la quale ha alterato una concezione e una comprensione più complesse dell'allora e della sua successiva produzione artistica. Infatti, le interpretazioni superficiali dei suoi progetti intitolati GFP, li hanno etichettati come scambio o occupazione territoriale di vari stati. Un semplice sguardo li fa sembrare tali e pertanto, sin dall'inizio, essi vengono inquadrati nella categoria dell'arte contemporanea incentrata su motivi cartografici. La pluriennale coerenza creativa di Garbin però, dimostra quanto poco critica sia stata una tale interpretazione del suo lavoro artistico.

I suoi processi neoconcettuali e postmodernistici si fondano su un'espressione artistica sottoposta ad un enorme riduzionismo. A prescindere dal fatto se si tratti di scultura, disegno, grafica o quadro, Garbin semplifica in massima misura la sua opera. Il processo semplificativo tocca tutti i segmenti, dalla fattura alla scelta del motivo dell'opera artistica. È un'espressione personale dalla quale s’impone il quesito: trattasi di un segmento stilistico proprio dell'arte contemporanea, o si pone semplicemente al servizio dell’espressione stessa? Di quello che l'autore desidera esprimere!? È naturale che l'opera risulti sia stile che espressione, ma è quest'ultimo a prevalere.

L'aspetto stilistico riflette le enormi capacità e abilità d’espressione di Garbin, che usa tecniche espressive semplicissime, tipiche del Dadaismo, del Surrealismo, dell'Arte povera e di tutte le loro derivazioni presenti nel mondo artistico più recente. Trattasi, di regola, di materiali semplici, la cui durezza e banalità vengono trasformate impercettibilmente dall'artista in oggetti particolari, quasi esoterici. Talvolta si tratta di oggetti trovati, pronti e già usati, a volte invece sono semplici e comuni forme geometriche o astratte, bidimensionali o tridimensionali. Tra le sue opere troviamo una pietra raccolta in strada, un sacchetto d'imballo, una pila...quali opere a sé stanti, finite, come pure una circonferenza o una linea, una macchia, fino ad arrivare ad una semplicissima traccia o a un'impronta digitale appena visibile.

Ed è proprio in questa arte ridotta che Garbin tenta di essere chiaro e comprensibile. È talmente semplice che in alcuni segmenti tocca l'animo ingenuo del ragazzino pensando che le opere presentate si comprendono da sé. Trattandosi di oggetti finiti o disegnati, di forme dipinte, essi hanno già un significato predefinito, ereditato, che li rende particolari, ben riconoscibili. Sono parte di un linguaggio comprensibile dai significati espliciti. Ma ogni singolo oggetto o forma va esaminato, riconosciuto e compreso nel suo significato nascosto, perché ce l'ha.

Sì, è un'analisi questa che ci riporta agli inizi dell'attività artistica di Garbin, a quell'infelice scelta del paradigma dell'iconografia cartografica. All'epoca l'artista ribadiva il significato del suo progetto: l'impossessarsi di parti di determinati spazi. Il possesso comprendente lo scambio, perché gli oggetti o le materie hanno confini (come gli stati). Esiste uno spazio circondato da spazi identici che tali non sono e che Garbin chiama “Area Neutra”, sostenendo che è proprio quello il luogo in cui si svolge l'atto, l'azione! Con lo scambio di luoghi, o con lo spostamento di oggetti si fa posto all'altro, si libera e si occupa superficie che lo stesso corpo possiede fisicamente o simbolicamente.

Lo scambio o lo spostamento da un luogo all'altro non è solo banalmente letterale. L'opera ci porta a quegli elementi d’integrazione di parole e significati ripresi dal Surrealismo. All'assurdo rapporto tra il linguaggio e gli oggetti ai quali la lingua, nominandoli, dà un significato. “Ceci n'est pas une Pipe” di René Magritte esamina la veridicità dell'oggetto fisico, delle sue immagini e delle parole che lo definiscono. Ma non nel caso di Garbin! Le sue sculture fatte di oggetti già esistenti, o i suoi quadri rimangono quello che sono. A prescindere dal fatto che si tratti di un settore di territorio di uno stato che per scambio viene trasferito in un altro stato, oppure di un semplice oggetto. Esso mantiene il suo significato autentico. Il nido d'uccello che Garbin trova a terra, rimane comunque un nido, che ora però è in disfunzione, è diventato un oggetto artistico, riposto in un imballo di cartone ed esposto nella Galleria. O il sacchetto di carta girato, o il sacchetto nel sacchetto …

La disfunzione appare nel momento in cui nell'oggetto materiale, nel quadro, o nella parola, si scombina il rapporto d'equilibrio del confine dell'“Area Neutra”. L'alterazione dello spazio e del non spazio, il confine che diventa luogo d'azione, il luogo in cui l'azione che vi si svolgeva cambia da funzione in disfunzione. Il luogo d’esistenza simultanea, lo spazio di confine che divide l’uno dall'altro, il loro interspazio. Garbin usa l'equilibrio alterato o la disfunzione per porre in luce l'azione dei rapporti tra forze opposte di attrazione e di repulsione. Forze invisibili ma esistenti e combacianti. In loro assenza non esisterebbe il nostro mondo materiale, quello che si sprigiona dall’atomo.

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Nel creare la propria arte Garbin, come già detto, usa tecniche contemporanee e tutte le espressioni tipiche della pittura e della scultura. Ma usa anche il video. Pur prevalendo nelle sue opere la scultura fondata sulla cosiddetta tecnica del "ready made", ovvero di oggetti reali che ne vengono a sottolineare il carattere funzionale o disfunzionale, quest'ultimo viene ribadito pure mediante altre espressioni. Col video "Conto alla rovescia" vengono riprese (solamente) le gambe che camminano in un parcheggio. Anche quest'opera mette in mostra l'espressione minimalistica di Garbin, che presenta solo le parti fondamentali. Passo dopo passo le gambe camminano e attraversano le segnature del parcheggio, accanto alle quali le guardie comunali hanno scritto il numero della singola piazzola di sosta. Le gambe passano dal numero più grande verso quello più piccolo e nonostante lo scopo della camminata non sia quello di contare, essa in realtà lo fa! Contare come con il conto alla rovescia del lancio di un razzo nello spazio, da un numero grande verso il più piccolo, l'uno di base, senza però fermare la camminata al numero uno, ma dandole un seguito, perché come avviene col lancio del razzo, il movimento autentico comincia solo allora.

Nel secondo video intitolato "Con la mano destra e sinistra" viene messa in luce la caratteristica dell'ampliamento. Camminando accanto ad un recinto, l'artista ha in mano un piffero che fa passare sul recinto formato da sbarre sistemate a distanza regolare, ben definita. L'ordine delle sbarre del recinto (e di tutti gli altri ostacoli o aggiunte nel recinto) stabilisce il ritmo del suono del piffero che non emette quelli che sono i suoi soliti suoni da strumento musicale, ma quelli prodotti dal contatto dei colpi col recinto. Parimenti, il recinto, che non è uno strumento musicale, stabilisce il ritmo mediante la posizione delle sue sbarre. Se usassimo il piffero nella sua funzione fondamentale, soffiandoci semplicemente, otterremmo solo un suono uniforme, senza ritmo. Quando l'artista conferisce e attribuisce ad entrambi gli oggetti un'appendice misteriosa e invisibile, essi si trasformano in un perfetto strumento musicale. Talmente perfetto che il suonatore può proporre una sua composizione senza note e senza possedere capacità musicali, ma camminando e tenendo uno strumento musicale ora nella mano sinistra, ora nella mano destra.

Le forze sovrapposte, invisibili degli oggetti materiali, del nostro mondo come di quello di Garbin, si manifestano in un certo qual modo nello stesso oggetto. Sono apparizioni invisibili che Garbin esprime, estrae, trasforma per renderle visibili mediante un proprio procedimento artistico. Da un lato è un atto, un'azione che decide di spostare o di girare l'oggetto, dall'altro è una modificazione fisica dell'oggetto, caricaturandone la forma originaria. Lo spostamento, la modificazione della funzione, o la caricatura della manifestazione esterna (dell'aspetto), dei suoi significati fondamentali, dello stato e della forma vengono messi al servizio dell'espressione visiva. Gli aspetti e le caratteristiche del mondo materiale, profondamente sotterrate nel mondo invisibile delle forze segrete alle quali può arrivare solo un processo mentale, vengono trasformati in visibili.

È possibile immaginare l'invisibile e, con l'azione artistica esprimere e mostrare il frutto della fantasia, ma solo a patto che esista un particolare umore dell'animo. In Garbin questo particolare umore o stato spirituale è al limite di un semplice gioco ingenuo infantile: creando un suono con un bastone che tocca un recinto, o camminando all'interno di campi contrassegnati. Non lo facevamo forse tutti da bambini? D'altro canto però anche l'umore dell'animo appartiene al mondo invisibile delle forze segrete che fanno del suo identificatore un profeta. Con semplicità, con azioni funzionali e disfunzionali, con estensioni agli oggetti, Garbin accentua il paradosso dell'immaterialità. Un paradosso di procedure pensate a fondo, che rendono uguali gli oggetti materiali del nostro mondo e le sconosciute esperienze dei sensi. Con le opere esposte l'artista descrive quanto osservato attraverso i suoi processi psichici – un'introspezione che si trasforma in magica abilità di trasformare il mondo materiale in una realtà precedentemente immaginata.

Dario Sošić

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